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Economia criminale, le mafie nel contesto transnazionale

Economia criminale, le mafie nel contesto transnazionale
Autore: Nostro inviato Gabriele.Santoro
Data: 14/10/2013

 

Si stima che nella sola Calabria il volume di affari legato all’economia criminale sia di 5 miliardi di euro annui, con un coinvolgimento di oltre 20 mila persone. Cifre che ovviamente sono nulla rispetto ai traffici internazionali, le organizzazioni illecite sono uscite da diversi anni dai confini regionali ma non molte istituzioni, a partire da quelle comunitarie, sembravano averlo notato. Come diceva Borsellino, di mafia l’importante è che se ne parli, che sia a casa, nelle scuole, alla radio o in tv. Ecco spiegate le ragioni dell’incontro “Economia Criminale” del 14 ottobre alla biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”.

“La Calabria ha la prima organizzazione al mondo, con il Sudamerica, per la commercializzazione della cocaina”, riporta Federico Cafiero, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. Lo scorso 6 luglio l’arresto di un importante broker che da solo era in grado di muovere tre tonnellate ad operazione “fa rendere conto di quale miscela esplosiva si tratti”. I tempi dei sequestri di persona degli anni ’80 sono lontani, ora si ha a che fare con una ‘ndrangheta imprenditoriale – che però da quel periodo ha tratto finanziamenti fondamentali per questo tipo di evoluzione – “che sceglie il proprio interlocutore, dà lavoro, condiziona il voto. Ha riferimenti a Bogotà e Medellin”, per non parlare del Messico. Nel suo ambito, un modello “all’avanguardia, gestiscono il potere con i boss locali sudamericani.

Realtà cambiata notevolmente anche nel caso della Camorra, “è complessa e difficilmente identificabile, nella provincia di Napoli ci sono un’ottantina di organizzazioni”, spiega Giovanni Colangelo, procuratore di Napoli, che paragona il fenomeno ad un virus, per “la capacità di adattamento e di infezione e per la problematicità di individuazione”. L’approccio localistico e con un “preconcetto orientativo sulle forme di esplicazione” nel suo contrasto è da scartare.

La criminalità organizzata italiana viene considerata la terza mondiale fra le cinque più potenti – le altre sono Cina, Giappone, Russia e un po’ troppo generalmente il Sudamerica – ma la più rispettata perché “depositaria del know how per le interazioni con le istituzioni”, mettendo a rischio l’ordine democratico per “l’inquinamento” portato nelle istituzioni stesse. Coordinare le operazioni con Roma non è però più sufficiente, il problema è transnazionale, motivo per cui è necessaria “una definizione condivisa di ‘stampo mafioso’ ma che sia flessibile, senza seguire l’onda”.

L’Europa è giunta alla consapevolezza della questione solo da poco, ci sono volute le esecuzioni di Duisburg del ferragosto 2007 per dimostrare che dal Meridione i confini erano stati varcati, prima era diffuso un senso di “negazionismo”, per dirla come Francesco Roberti, procuratore nazionale antimafia. Traffico di esseri umani o di organi, stupefacenti, armi, rifiuti, tutti settori in cui “le organizzazioni mafiose si sono trovate benissimo”. Il rapporto Europol del 2013 parla di 36 mila cellule attive nell’Unione Europea, quasi sempre a vocazione transnazionale.

La forza viene dalla corruzione e dal riciclaggio, più sicure della violenza e dell’intimidazione, che peraltro a volte risvegliavano le coscienze, vedi il periodo stragista dell’inizio anni ’90. Ma senza uniformità normativa l’opposizione diventa particolarmente difficile, come nel caso della confisca dei beni, prevista solo dal nostro ordinamento, per ovvie ragioni il più preparato in tal senso. “Se non sarà adottata da tutti gli Stati”, continua Roberti, sarà impossibile sequestrarli fuori dall’Italia. Si parla di un inserimento di queste misure nelle direttive Ue così come si fa strada il concetto anti-riciclaggio, quando non si ha certezza della provenienza di somme di denaro appartenenti al soggetto indagato”.

L’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati è il “segno di uno Stato che si riappropria dei beni per l’utilità sociale, che contribuirebbe allo sviluppo dell’economia. Le aziende potrebbero essere risanate e creare opportunità di occupazione. L’obiettivo è ambizioso e richiede investimenti, dovrebbe essere l’azione prioritaria di qualunque governo”. Per quanto riguarda l’antiriciclaggio, “si scontra con la presenza di paradisi fiscali, fin quando non ci si accorda per far cadere il segreto bancario non ci potrà essere contrasto efficace”. 




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